Lo stato sociale italiano: un’analisi dell’Università La Sapienza di Roma

E’ giunto alla tredicesima edizione il Rapporto sullo stato sociale, redatto dal dipartimento di Economia e Diritto, con il sostegno del Master di Economia Pubblica della Sapienza Università di Roma a cura del Prof. Felice Roberto Pizzuti e riguardante le problematiche del welfare state nell’attuale contesto economico sociale.

All’interno del Rapporto vengono analizzati diversi settori, tra cui le dinamiche demografiche della popolazione europea e del nostro Paese, nonché i cambiamenti del settore previdenziale pubblico e privato.

L’evoluzione demografica nei paesi europei e in Italia

Gli ultimi trent’anni hanno registrato un progressivo invecchiamento della popolazione europea. Due sono gli indici a dimostrazione della portata di tale cambiamento nell’ambito dei paesi UE:
  • il rapporto espresso in percentuale tra la popolazione ultra 65enne e la popolazione inclusa tra i 15 e i 64 anni di età, il cosiddetto indice di dipendenza degli anziani, è passato dal 19,6% nel 1987 al 30,5% nel 2017.
  • mentre l’indice di vecchiaia, che mette a confronto la popolazione over 65enne con quella under 15 anni, è passato da 65,3% del 1987 al 128,3% del 2017.

Inoltre, guardando i dati dell’evoluzione demografica del nostro Paese vediamo che, rispetto a quelli medi europei, il rapporto di entrambi gli indici risulta ancora più marcato.

Fonte: Rapporto sulla Stato Sociale 2019. La Sapienza Università di Roma

Gli effetti dell’evoluzione demografica

 

L’aumento dell’età media della popolazione ha due importanti effetti:
  • da un lato l’invecchiamento della forza lavoro che a sua volta determina una diminuzione della produttività
  • dall’altro, la conseguente diminuzione della popolazione attiva, dovuta anche a una diminuzione della natalità

Il peso crescente a carico della popolazione attiva, impegnata a sostenere una fetta sempre maggiore di popolazione non attiva, ha innescato anche il conseguente contenimento delle prestazioni del sistema di welfare.

Secondo il rapporto, per frenare questo circolo vizioso ci vorrebbe un importante intervento da parte delle istituzioni dello stato sociale che, attraverso l’offerta previdenziale, dell’assistenza sanitaria e l’istruzione, potrebbe aumentare la qualità dell’occupazione, della produzione e la conseguente stabilità economico – sociale.

Il sistema pensionistico pubblico e i suoi problemi

Il Rapporto sullo stato sociale contiene alcune riflessioni sul sistema pensionistico del nostro Paese, analizzando in particolare le prestazioni che verranno erogate alla popolazione che è entrata nel mercato del lavoro dopo il 1995 (anno della riforma pensionistica). Si tratta di coloro che, più di altri, hanno dovuto affrontare il problema delle carriere discontinue, caratterizzate da retribuzioni saltuarie oltre che basse, che non consentono di raggiungere un’anzianità ed un montante contributivo tale da permettere di avere una pensione dignitosa e in grado di tutelarli dalla povertà.

Secondo il Rapporto, al momento, questo segmento di lavoratori risulta essere “distratto” da esigenze e bisogni immediati, non pensando al proprio futuro pensionistico e alla probabile inadeguatezza del reddito su cui potranno contare nell’ultima fase della propria vita.

Si tratta di un vero e proprio problema sociale che affonda le proprie radici nei cambiamenti del mercato del lavoro susseguitesi negli anni, nei cambiamenti del sistema previdenziale degli anni Novanta e dalla diffusione di nuove forme contrattuali che favoriscono retribuzioni inferiori e soprattutto instabili.

Il passaggio dal più generoso metodo retributivo a quello contributivo se da un lato ha permesso di diminuire l’incidenza della spesa pensionistica sul PIL, dall’altro lato “impone” alle nuove generazioni che vanno in pensione di collocarsi nella stessa fascia reddituale o addirittura in quella inferiore rispetto a quella in cui erano nell’arco della propria vita lavorativa. Con questo sistema, la difficoltà dei giovani di entrare nel mondo del lavoro e l’elevata presenza di carriere instabili e precarie porta, una volta in pensione, ad avere una copertura pensionistica limitata. Si tratta di un trend che rischia di creare un indebolimento del patto sociale intergenerazionale e della coesione sociale del nostro Paese.

L’analisi del quadro contributivo degli ultimi 15 anni

Al fine di dimostrare le difficoltà nella costruzione di una solida pensione il Rapporto prende in analisi le condizioni contributive degli italiani, che sono influenzate dai salari, dai rapporti lavorativi discontinui e dall’aliquota contributiva. In particolare, l’indagine analizza la storia reddituale e contributiva nel corso di un arco temporale di 15 anni di un campione di lavoratori che hanno iniziato a lavorare tra il 1996 e il 1999. Di questi, il 47,9% dei lavoratori ha percepito per almeno 8 anni su 15 un salario lordo annuo inferiore al 60% della retribuzione mediana, stimata a circa 12.000 euro lordi. Inoltre, il 46,2% del campione ha maturato una storia contributiva di almeno 12 anni su 15, mentre il 26,7% è riuscito a raggiungere un massimo di 6 anni di contributi.

Nell’arco di quindici anni il 24,1% del campione ha accumulato una contribuzione pensionistica maggiore rispetto al salario lordo annuo mediano di un lavoratore full time (pari circa a 23.500 euro), mentre più della metà del campione non è riuscita ad accantonare nemmeno il 60% della stessa soglia.

Chi sono gli aderenti alla previdenza integrativa

Al sistema pensionistico pubblico si affianca quello della previdenza complementare. Nell’arco del 2018 il numero degli iscritti alla previdenza integrativa è aumentato del 6% (circa 450 mila unità) per un totale di circa 8 milioni di iscritti complessivi. Tra questi:
  • 72% sono lavoratori dipendenti,
  • il 57% sono residenti nel Settentrione
  • il 62,3% sono maschi
  • il 16% sono giovani tra i 15 e i 34 anni, mentre la maggior parte rientra nella fascia d’età successiva dei 35-54 anni.

Al momento la previdenza complementare è diffusa soprattutto tra le categorie lavorative più garantite che vantano buone retribuzioni e avranno dunque una buona situazione pensionistica pubblica. Mentre, al contrario, risulta poco diffusa tra le categorie più bisognose e cioè tra i giovani, i lavoratori autonomi e coloro che hanno contratti a tempo determinato e part time, accomunati da una contribuzione ridotta e saltuaria, che non potranno contare su pensioni pubbliche sufficienti.

Previdenza integrativa: ancora un grande sconosciuto

Nel Rapporto sullo stato sociale 2019 viene dato rilievo al problema della scarsa conoscenza e diffusione di questo settore, dei suoi prodotti nonché delle loro caratteristiche. Secondo il Rapporto le informazioni date dagli operatori sono spesso incongruenti e serve dunque una maggiore consapevolezza e un accesso più ampio alle caratteristiche dei singoli prodotti e al sistema. Si tratta di una riflessione che prende origine dal fatto che la maggioranza di coloro che ad oggi hanno aderito alla previdenza integrativa non presenta carriere discontinue e non avrà dunque difficoltà eccessive al momento del pensionamento. Mentre coloro che sono entrati nel mercato del lavoro a partire degli anni Novanta che, oltre all’incognita delle carriere saltuarie e dei bassi salari, dovranno affrontare anche da pensionati il problema delle pensioni basse e insufficienti, non si sono ancora avvicinati a questo strumento.

Il rapporto indica che, secondo le proiezioni macroeconomiche, nei prossimi tre decenni il rapporto tra pensione media e salario medio continuerà a diminuire. Tutto ciò farà crescere anche il divario tra i redditi degli attivi e quelli dei pensionati.

Per interrompere questo trend verso l’impoverimento della popolazione anziana sarebbe necessario modificare l’attuale sistema pensionistico attenuando il collegamento rigido tra prestazioni e contributi versati.

Noi di propensione.it crediamo che sia importante iniziare a costruirsi una pensione di scorta sin dall’inizio della propria carriera lavorativa. Infatti, grazie alle flessibilità offerte, con questo importante strumento di risparmio è possibile tutelare oggi il proprio tenore di vita del domani.

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