Il peso della bilancia demografica

Sulle testate giornalistiche, notiziari, blog e social continuano a inseguirsi le notizie riguardanti la demografia del nostro Paese: da un lato il calo delle nascite, dall’altro, la buona notizia dell’aumento dell’aspettativa di vita e dei progressi in termini di qualità della vita.

I dati principali sulla natalità nel nostro Paese vengono forniti innanzitutto dall’Istat – Istituto Nazionale di Statistica. In particolare, dall’ultima ricerca intitolata “Natalità e fecondità della popolazione residente” emerge che uno dei fattori che ha maggiormente influito sul calo della natalità in Italia è rappresentato dalla diminuzione della popolazione femminile compresa tra i 15 e i 49 anni. Rispetto al 2008, nel 2017 si è registrato un calo di circa 900 mila donne. Secondo l’Istat da questa dipende in parte anche la diminuzione delle nascite registrata nel nostro Paese nello stesso arco temporale.

Nel 2017 sono stati iscritti all’anagrafe 458.151 neonati, rispetto al 2016 si tratta di un numere di oltre 15 mila bambini in meno. Prendendo invece in considerazione gli ultimi tre anni (dal 2014 al 2017) si registra una diminuzione delle nascite pari a 45 mila unità che, rispetto al 2008 segna una differenza di 120 mila nascite.

Viaggia di pari passo anche il numero medio di figli per donna, che nel 2017 è stato pari a 1,32 figli a donna (rispetto al 1,46 del 2010) e l’età media delle donne al momento della nascita del primo figlio è, nel 2017, pari a 31,1 anni.

In contrapposizione ai dati sulla natalità, gli studi demografici evidenziano un dato molto positivo per il nostro Bel Paese: secondo la “World Population Review” siamo il Paese che vanta la terza speranza di vita, alla nascita, più alta al mondo, pari nel 2017 a 82,7 anni. Questa è di 4 anni superiore rispetto a quella registrata negli Stati Uniti. Il dato sulla speranza di vita alla nascita non dipende solo dall’aumento degli anni di vita ma, anche da altri fattori, come ad esempio la diminuzione della mortalità infantile, degli incidenti e in generale dal miglioramento della qualità della vita (sempre più sana e attiva anche nel post lavoro).

Un altro importante fattore è legato all’assistenza sanitaria offerta dal nostro Paese. Infatti, la possibilità di accedere ad adeguate cure mediche e a centri di punta nel trattamento di specifiche patologie aiuta a mantenere non solo una qualità di vita migliore ma anche a vivere più sani a lungo.

Dalla ricerca Istat sulla demografia emergono dati curiosi sulle variazioni della speranza di vita sulla base del sesso, titolo di studio o alla località di residenza. Per citarne qualcuno, le donne vivono in media più a lungo degli uomini: l’aspettativa di vita nel 2017 per gli uomini è pari a 80,6 anni, mentre quella delle donne arriva a 84,9 anni.

Altra differenza curiosa riguarda l’aumento dell’aspettativa di vita al crescere del grado di istruzione: coloro che non hanno alcun titolo di studio o che posseggono la licenza elementare hanno una aspettativa di vita pari a 80,2 anni mentre coloro che hanno una laurea o un titolo superiore possono contare su un’aspettativa di vita pari a 84,1 anni.

Un’altra differenza si registra in riferimento alla regione o città di residenza. Per fare qualche esempio, in Campania l’aspettativa di vita è pari a 81 anni, in Trentino Alto Adige è pari a 83,5 anni e a Firenze supera addirittura gli 84 anni.

Dai dati sulla natalità e quelli sulla longevità emerge un elevato squilibrio demografico. Oggi, in Italia, il numero dei nuovi nati è sceso sotto quello degli ottantenni.

Per vivere a lungo è importante seguire uno stile di vita sano, attivo e ricco di nuovi stimoli. Per mantenere il proprio benessere anche nel post lavoro è importante iniziare a costruire fin dall’inizio della propria carriera lavorativa una sicurezza e protezione economica in più da affiancare alla pensione pubblica e in grado di tutelare il tenore di vita desiderato.

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