Sono un infermiere: quando e come vado in pensione?

Quali sono le regole per accedere alla pensione per gli infermieri e gli assistenti sanitari? Oltre all’età anagrafica e all’anzianità contributiva, sulle modalità di pensionamento incide anche l’inquadramento professionale del lavoratore. Si possono distinguere, infatti, tre categorie:
  • infermiere dipendente pubblico
  • infermiere libero professionista
  • infermiere collaboratore (in via continuativa o non abituale)
A seconda del contratto di lavoro, cambiano le regole e l’ente previdenziale di riferimento, che per gli infermieri dipendenti pubblici è l’INPS, mentre per gli infermieri liberi professionisti e i collaboratori è l’apposita Cassa professionale ENPAPI (Ente Nazionale di Previdenza e Assistenza della Professione Infermieristica).

Sono un infermiere dipendente pubblico: quando e come vado in pensione?

Nel caso di un infermiere dipendente pubblico, impiegato presso le aziende sanitarie o le aziende ospedaliere del Servizio sanitario nazionale (ASL), i contributi previdenziali vengono versati presso una gestione apposita dell’INPS, la Cassa Pensioni Dipendenti Enti Locali (CPDEL). I contributi sono ricavati con l’applicazione di un’aliquota sulla retribuzione, che è pari al 32,65%, di cui il 23,80% a carico del datore di lavoro e il restante 8,85% a carico del lavoratore. Le due possibilità ordinarie di pensionamento sono:
  • la pensione di vecchiaia, che richiede per il 2019 un’età anagrafica di 67 anni e almeno 20 anni di contributi
  • la pensione anticipata, che richiede almeno 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne.
Ci sono poi altre vie flessibili e anticipate di pensionamento, come quota 100 o l’ape sociale, che sono accessibili a seconda della propria situazione personale e lavorativa. Il caso di Valentina, 37 anni, infermiera presso un ospedale pubblico da 10 anni e con uno stipendio lordo di circa 24.000€.
Si stima che Valentina andrà in pensione a 67 anni e 10 mesi e con una pensione che coprirà il 62% del suo ultimo reddito percepito. A fronte di uno stipendio mensile netto di 1.500 euro significherà poter contare su 570 euro in meno al mese.

Sono un infermiere libero professionista quando e come vado in pensione?

Gli infermieri o gli assistenti sanitari che esercitano attività libero professionale, sono iscritti obbligatoriamente all’ENPAPI. Il contributo annuo da versare all’Ente è pari al 16% del reddito professionale netto, risultante dalla dichiarazione dei redditi, innalzabile volontariamente fino al 23%. E’ previsto in ogni caso un contributo minimo pari a 1.600,00 euro annui. Inoltre va versato un contributo integrativo da prelevare dai compensi ricevuti lordi, pari al 4%. In questo caso l’importo minimo dovuto è di 150 euro all’anno. La pensione di vecchiaia è conseguita con i seguenti requisiti:
  • 65 anni d’età e almeno 5 anni di contributi
  • 57 anni d’età e almeno 40 anni di contributi
Oltre alla pensione di vecchiaia, sono previste altre prestazioni come l’assegno di invalidità, la pensione di inabilità e quella di reversibilità.

Sono un infermiere collaboratore: quando e come vado in pensione?

Nel caso in cui l’attività sia sotto forma di collaborazione, in via continuativa o non abituale, il lavoratore viene iscritto ad apposita gestione separata dell’ENPAPI. In questo caso i contributi vengono versati all’Ente da parte del collaboratore e sono determinati nel modo seguente:
  • applicazione di un’aliquota contributiva del 33% sui compensi dovuti
  • se il lavoratore svolge altra attività lavorativa e, ai fini pensionistici, è iscritto ad un altro Ente previdenziale o è già pensionato l’aliquota è pari al 24%
Alla pensione di vecchiaia si accede con almeno 65 anni d’età e 5 anni di contributi e anche in questo caso sono previste le prestazioni di invalidità, inabilità e di reversibilità. Vediamo il caso di Giovanni, infermiere libero professionista di 42 anni, con un’anzianità contributiva di più di 15 anni e un reddito annuo lordo di 35.000 euro.
Si stima che Giovanni andrà in pensione a circa 65 anni d’età con un assegno che coprirà il 25% del suo ultimo reddito percepito in attività. Per colmare il gap previdenziale cosa potrebbe fare Giovanni? E Valentina, che avrà una differenza inferiore ma comunque pari a quasi il 40% del suo ultimo stipendio? Entrambi possono affiancare alla pensione pubblica una pensione di scorta aderendo alla previdenza integrativa.

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La pensione integrativa come soluzione al gap previdenziale

La previdenza integrativa serve proprio a tutelare il tenore di vita una volta in pensione e si costruisce versando dei contributi volontari fino al pensionamento, su cui si ottengono dei rendimenti grazie agli investimenti. Nel frattempo si può contare su:
  1. vantaggi fiscali
  2. flessibilità
  3. tutele per sé e per i cari
Vediamo il risparmio di Valentina e Giovanni per la pensione integrativa.
Entrambi risparmiano ogni anno sulle tasse grazie alla deducibilità fiscale dei contributi versati, Valentina 514,44 euro e Giovanni 1.124, 88 euro. Mentre risparmiano per la pensione integrativa, che si stima ammonterà a 3.625 euro per Valentina e 4.244 euro e per Giovanni, possono richiedere:
  • in qualsiasi momento il 75% di quanto accumulato per spese sanitarie
  • dopo 8 anni il 75% di quanto accumulato per l’acquisto o la ristrutturazione della prima casa
  • dopo 8 anni il 30% di quanto accumulato per qualsiasi altra esigenza
  • il riscatto del 50% o del 100% di quanto accumulato in caso di perdita del lavoro o invalidità
  • una rendita vitalizia reversibile affinché la pensione integrativa venga erogata al coniuge e altro beneficiario in caso di morte. In caso di premorienza in fase di accumulo, infatti, il capitale accumulato spetta automaticamente agli eredi o altri beneficiari prescelti.
Per colmare la differenza tra l’ultimo reddito percepito da lavoratori e la pensione pubblica gli infermieri devono pensare, sin dall’inizio della propria carriera, a tutelare il proprio futuro costruendosi una pensione di scorta. La pensione integrativa contribuisce a mantenere un tenore di vita adeguato anche una volta terminata l’attività.

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