Pensioni 2023: il confronto governo-sindacati

La riforma pensioni 2023 è uno dei grandi nodi da sciogliere con la prossima legge di bilancio e venerdì 4 novembre si è svolto il primo tavolo di confronto tra governo e sindacati, come richiesto dalla  nuova ministra del Lavoro e delle Politiche sociali, Marina Calderone. La questione da affrontare resta evitare anche questa volta il cosiddetto “scalone” tra i requisiti richiesti per andare in pensione con quella di vecchiaia (67 anni + 20 di contributi) e Quota 102 (64 anni +38 di contributi) e, di conseguenza, se prorogare o meno questa misura anche per il 2023. Come riportato in un articolo del Corriere della Sera di venerdì scorso, si preannunciava “un pronto no” dalle parti sociali ad una sua eventuale proroga. 

Cosa è emerso, quindi, in questo primo incontro tra governo e sindacati? Quota 41 sembrerebbe la misura più probabile, ma a quali condizioni? 

A parlarne un articolo dell’inserto l’Economia del Corriere del 5 novembre appena trascorso.

 

Quota 41: in pensione con 41 anni di contributi ma a che età?

Quota 41 potrebbe essere la prima misura di pensionamento flessibile rispetto alle vie ordinarie, ma se è già definita l’anzianità contributiva minima richiesta, appunto 41 anni, resta ancora da decidere l’età anagrafica necessaria, che sembrerebbe andare dai 61 anni ai 63 anni

Come riportato dal Corriere, la ministra del Lavoro mira ad una riforma strutturale, per evitare di emanare nel corso del prossimo anno una serie di decreti “tappabuchi”. A tal fine, infatti, si è richiesto l’intervento dell’INPS in modo tale da poter decidere con calcoli e simulazioni alla mano.

Riforma pensioni 2023: novità e conferme

Dal primo incontro tra parti sociali e governo sembrerebbe essere emersa un’altra possibile novità per la riforma pensioni 2023: la previsione di un premio per chi, pur potendo andare in pensione a 63 anni, rinvia il pensionamento

Come riporta il Corriere, la misura sembrerebbe mirata soprattutto ad evitare un numero elevato di uscite dal mondo del lavoro nel settore pubblico, soprattutto in ambito sanitario, dove per molti medici ci sarebbe la possibilità di andare in pensione a 62 anni d’età e 35 di contribuzione o con 42 anni di contributi (a prescindere dall’età anagrafica).

Come più volte preannunciato, ci saranno anche delle conferme, con la proroga di Opzione donna e dell’Ape sociale.

Grazie a Opzione donna, le lavoratrici dipendenti possono andare in pensione con 58 anni di età + 35 di contributi e lo stesso per le autonome ma all’età di 59 anni, a condizione, però, di un calcolo della pensione interamente con il metodo contributivo anziché con il sistema misto retributivo/contributivo. Come specificato dal Corriere, ciò implica un taglio della pensione compreso tra il 20 e il 25%.

Quanto all’Ape sociale, è consentito, a carico dello Stato, un pensionamento a 63 anni d’età e con almeno 30 o 36 anni di contributi se si versa in quattro situazioni di bisogno previste (disoccupazione, assistenza a familiari, disabilità, per le quali sono richiesti 30 anni di contributi e lavori usuranti per i quali sono necessari invece 36 anni di contributi).

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