Pensioni: il 2020 sarà un anno di cambiamenti?

Il 2019 si è chiuso in modo piuttosto turbolento sul fronte delle pensioni, con una Francia in protesta contro la riforma del sistema, in particolare rispetto all’innalzamento dell’età pensionabile a 64 anni per ricevere il livello massimo della prestazione. Lo stesso requisito sarà soggetto, inoltre, ad un adeguamento nel tempo sulla base dell’aspettativa di vita.

Tutto questo dimostra essenzialmente che:

  • il tema della pensione sarà sempre molto sentito e in quanto tale è di primaria importanza e bisognoso di tutela
  • c’è la necessità di ridefinire la pensione e il suo significato, rendendo al contempo maggiormente consapevoli le persone sul proprio futuro pensionistico
  • in tutti i Paesi, come in Francia, è avvertita l’inevitabile sfida della longevità e del rischio che comporta per la tenuta del sistema welfare.

In Italia come stanno le cose? 

In Italia, come si suol dire, “ci siamo già passati” con la riforma pensionistica Fornero, che aveva previsto l’adeguamento dei requisiti anagrafici e contributivi all’aspettativa di vita, oltre ad aver esteso a tutti i lavoratori il metodo di calcolo contributivo della pensione.

Ad oggi il requisito per la pensione di vecchiaia resta fermo a 67 anni per un altro biennio e quello contributivo di 41 anni e 10 mesi per le donne e 42 anni e 10 mesi per gli uomini  per la pensione anticipata è confermato fino al 2026.

Queste due misure ordinarie di pensionamento, quella di vecchiaia e quella anticipata, rispondono alle primarie esigenze di contenimento della spesa pubblica e di sostenibilità del sistema a fronte di una popolazione sempre più longeva.

Eppure diversi rapporti pubblicati sui sistemi pensionistici, dalla ricerca Melbourne Mercer Global Pension Index 2019 a quella dell’ OSCEPension at a Glance 2019”, non “premiano” il nostro Paese.

A parlarne sono Alberto Brambilla e Michaela Camilleri di Centro Studi e ricerche di Itinerari previdenziali per l’inserto l’Economia del Corriere della Sera del 23 dicembre 2019.

Come mai?

Se sul fronte del pensionamento ordinario siamo tra i Paesi più in linea con i dettami dell’OSCE, a posizionare l’Italia in basso alle classifiche sono i pensionamenti effettivi, frutto delle diverse vie di uscita anticipate introdotte negli ultimi anni: 63,3 anni per gli uomini e 61,5 anni per le donne.

L’introduzione di una misura sperimentale come Quota 100, (62 anni di età e 38 anni di contributi) è lo specchio di quel che accade ad esempio in Francia, una risposta ad una società che si ribella a riforme pensionistiche che spostano troppo in là l’uscita dal lavoro ma che nello stesso tempo non ha una così chiara e consapevole visione del sistema.

Intanto, infatti, nel 2020 “il contributivo inizia a dettare legge”, come si legge nel titolo dell’articolo del Corriere della Sera ed un pensionamento troppo anticipato come quota 100 arriverà a tagliare l’assegno pensionistico anche del 10% per l’intera durata della pensione, tant’è che il pensionamento ordinario sarà quasi una scelta obbligata.

Cosa aspettarsi per le pensioni nel 2020? 

La riforma pensioni 2020 non ha introdotto misure di grande cambiamento. Con l’approvazione definitiva della legge di bilancio, infatti, i punti essenziali sono i seguenti:
  • la pensione di vecchiaia e la pensione anticipata restano invariate per i prossimi anni
  • quota 100 è confermata per la durata originariamente prevista, ossia, come misura sperimentale fino al 2021
  • sono state prorogate per il 2020 l’opzione donna (59 anni di età se lavoratrici dipendenti o 60 anni d’età se autonome e almeno 35 anni di contributi) e l’ape sociale  (prestito pensionistico a carico dello Stato per lavoratori in condizioni di bisogno che consente un pensionamento anticipato)

Inoltre, non verrà attuata la cosiddetta Quota 41, ossia il pensionamento anticipato con 41 anni di contributi a prescindere dall’età pensionabile e da estendere a tutti i lavoratori. Di conseguenza, per il momento resta una via di pensionamento ammessa per la sola categoria dei lavoratori precoci, cioè, con almeno 12 mesi di contributi, anche non continuativi, prima del compimento dei diciannovesimo  anno di età e che versino in condizioni svantaggiose.

Confermata l’essenzialità di una pensione integrativa 

Al di là delle misure di dettaglio, il sistema pensionistico visto più propriamente in un’ottica di lungo periodo va incontro a diverse sfide, tra cui un mondo del lavoro più frammentato rispetto al passato e, soprattutto una speranza di vita sempre più lunga. Tutto si traduce in pensioni pubbliche più basse, se non insufficienti cui va affiancata necessariamente una pensione integrativa.

Su questo fronte è previsto per il 2020 un tavolo di confronto tra governo e sindacati per rilanciare la previdenza integrativa, così da diffondere maggiormente uno strumento così utile e vantaggioso.

PEPP: documento EIOPA in pubblica consultazione 

A partire dal mese di dicembre e fino al 2 marzo 2020 l’EIOPA (Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali) ha avviato la pubblica consultazione rispetto agli aspetti principali della regolamentazione dei PEPP, prodotto pensionistico pan europeo, al fine di aprire il dialogo e raccogliere i suggerimenti da tutte le parti coinvolte nel settore, tra cui l’autorità di vigilanza sui fondi pensione italiana (Covip).

Tra i punti chiave oggetto di discussione, ai quali la Covip ha contribuito attivamente, ci sono le voci di costo da includere nel cosiddetto “cost cap”, e alla definizione di un indicatore di rischio appropriato, trattandosi di strumenti previdenziali.

Il PEPP, oltre ad essere uno strumento utilissimo per tutti i cittadini europei, in linea con le esigenze dei lavoratori che si trovano a lavorare in diversi Paesi nel corso della propria carriera, in queste fasi preliminari costituisce l’occasione per discutere anche a livello nazionale, al fine di rendere ancora più competitivi i fondi pensione italiani. Merita uno spunto di riflessione la reintroduzione di una tassazione sui rendimenti maggiormente agevolata, tornando ad un’aliquota inferiore all’attuale 20% (comunque vantaggiosa rispetto al 26%) se non ad un’esenzione totale.

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