Italiani e previdenza: intervista a Ferruccio de Bortoli

ll tema pensionistico è oggettivamente un argomento molto delicato, soprattutto per gli italiani. Le riforme pensionistiche che si sono susseguite negli anni, l’allungamento delle aspettative di vita, la discontinuità lavorativa, una pianificazione finanziaria ancora immatura, fanno sì che il problema previdenziale sia molto sentito, in particolar modo dai più giovani. Per tutelare il proprio futuro ed effettuare con la giusta consapevolezza delle scelte è necessario colmare il “gap informativo” che contraddistingue questo mondo. Su queste questioni abbiamo avuto il piacere di conversare nei giorni scorsi con Ferruccio de Bortoli, ex direttore di Corriere e Sole24Ore, oggi editorialista del Corriere della Sera e del Corriere del Ticino. Durante la chiacchierata sono stati toccati diversi punti che orbitano attorno alla al sistema previdenziale, come: riforme pensionistiche, risparmio, cultura finanziaria e rivoluzione digitale.

Parliamo del sistema pensionistico italiano, come giudica le riforme introdotte dagli anni Novanta ad oggi?

Cominciamo dalla riforma Dini del 1995 che ha segnato un passaggio non indifferente. E’ stata fatta da un governo tecnico che per certi versi, cosa piuttosto curiosa sotto il profilo del funzionamento della democrazia italiana, fu un governo a lungo considerato come non legittimato dalla volontà popolare. Questa prima riforma che ha segnato il passaggio dal sistema a ripartizione al sistema contributivo, con il limite dei 18 anni, certamente ha segnato il cambiamento più importante. Anche la riforma Fornero del 2011 è stata la riforma di un governo tecnico, ancora più tecnico di quello di Dini che ovviamente aveva una maggioranza politica ben definita.La considerazione che mi viene da fare è che le principali riforme pensionistiche sono state fatte da governi tecnici, sui quali sono piovute polemiche per la loro presunta illegittimità popolare, polemiche del tutto pretestuose perché poi i partiti le hanno votate. Ma che forse direttamente non avrebbero mai avuto il coraggio di proporre. Si sono schermiti dietro esecutivi di necessità o ne hanno posposto l’applicazione come avvenne per il famoso scalone Maroni nel 2008. 

È una sfida complicata quella di coniugare le esigenze previdenziali degli elettori con le future necessità dei più giovani?

Si tratta di un argomento estremamente delicato, soprattutto vista la composizione demografica dell’elettorato italiano.  Se vogliamo fare una riforma pensionistica efficace a favore delle generazioni future allora è necessario anche andare un po’ contro a quello che è il volere egoistico della maggioranza delle coorti demografiche che esprimono l’elettorato attivo. Purtroppo questo è un tema che riguarda tutte le democrazie rappresentative, cioè le riforme efficaci dal punto di vista pensionistico sono quelle che vengono realizzate con una forzatura rispetto alla volontà dell’elettorato pensando quindi in primis alle prossime generazioni, che ancora non votano.  La riforma Fornero, che ha avuto 8 deroghe per svariati miliardi, ha certamente nel tempo ridotto la curva di sostenibilità della spesa pensionistica e quindi il debito implicito del nostro paese. Per quanto riguarda invece “quota 100” bisognerà vedere che tipo di effetti questa avrà nel lungo periodo in quanto, al momento,  ci sono due interpretazioni differenti in merito alle “conseguenze” della misura. Alcuni sostengono che far cadere “Quota 100” darebbe un sollievo momentaneo ai conti pubblici relativamente ridotto, ma così non è in quanto lo studio della Ragioneria dello Stato calcola un aggravio dello 0,2% del PIL per i prossimi 17 anni.  A mio parere dunque sarebbe opportuno togliere totalmente  “Quota 100”. Tuttavia immagino che ciò non sia possibile visti i profili costituzionali dei diritti acquisiti da considerare. Il fatto è che le riforme pensionistiche non solo hanno bisogno di una forzatura democratica ma, per essere efficaci, devono anche andare a intaccare quelli che sono i diritti acquisiti. Questo pone ovviamente un serio problema di affidabilità dei patti che lo Stato fa con i propri cittadini. In sintesi le riforme pensionistiche sono state efficaci ma brutali in qualche caso. Ma la rappresentazione dei diritti delle generazioni future, anche di coloro che non sono ancora nati, probabilmente ha bisogno anche di una forzatura in questa direzione.  

Secondo lei, qual è il rapporto che hanno le persone con il risparmio? Ha visto un’evoluzione nella gestione finanziaria delle famiglie italiane?

Intanto dobbiamo dire che noi italiani abbiamo un risparmio che dal punto di vista finanziario è superiore ai 4.000mld, escluse ovviamente le proprietà immobiliari, e che in rapporto al reddito stiamo parlando di un multiplo superiore a quello degli Stati Uniti o a quello di altri paesi. Questo forse anche perché il reddito non è cresciuto come avremmo desiderato. Per cui abbiamo un problema di amministrazione di questo risparmio. La parte di risparmio gestito è cresciuta ma non possiamo dire che sia stata gestita sempre in totale trasparenza. A tal proposito credo che l’aspetto dei costi, nonostante la MiFID II, resta una questione di grande attualità. Non credo esista ancora questo tipo di trasparenza, in quanto non credo che i risparmiatori siano messi nelle condizioni di avere la contezza di quanto realmente costa la gestione del loro patrimonio, però certamente negli ultimi tempi c’è stata una crescita di sensibilità.  Detto questo, continuiamo ad avere una quantità impressionante di risparmio tenuta sui conti correnti, quindi con rendimenti negativi e dove si sottovaluta quello che è l’effetto dell’inflazione. Siamo passati da un paradosso all’altro, adesso i risparmiatori agiscono come se non ci fosse l’inflazione, mentre l’inflazione, seppur piccola, c’è e con il tasso composto, nel giro di 5-10 anni, si porta via il 20-30% del capitale accumulato. L’investimento in forme di previdenza integrativa, secondo e terzo pilastro, pur con tutti i problemi sulla trasparenza dei costi, ovviamente da dei rendimenti reali. La previdenza integrativa non è soltanto un modo per costruirsi una pensione di scorta, ma anche un modo per poter investire i propri risparmi difendendosi dall’inflazione. Quindi c’è un problema di educazione finanziaria, c’è un problema di contezza, c’è un problema ovviamente di lotta al nero. E questo ovviamente incide molto sulla scarsa consapevolezza che hanno gli italiani di dover pensare alle proprie pensioni. Perché c’è sempre, e questo è forse un aspetto se volete indotto dall’adozione di “quota 100”, l’idea che lo Stato, così come ti porta un lavoro a casa con il reddito di cittadinanza, dovrebbe in un qualche modo preoccuparsi per te della previdenza futura, ma non è così.

Che ruolo giocano la politica e i media rispetto ai temi dell’educazione finanziaria e della cultura del risparmio?

Vi faccio soltanto un esempio: in questa stagione abbiamo molto parlato di “Quota 100”, ma non ci siamo minimamente preoccupati sia sul versante politico sia sul versante dei mezzi di informazione dei giovani.  Sono loro infatti, soprattutto quelli che hanno lavori intermittenti e che quindi non avranno una vita contributiva piena, e faticheranno poi a fare i ricongiungimenti e la totalizzazione dei loro contributi previdenziali, che sono ormai entrati in una prospettiva nella quale non hanno grandi speranze di poter avere, ad un’età accettabile, un sostegno previdenziale adeguato.  Con “Quota 100” la politica si è preoccupata di quelli che avevano una vita contributiva piena, disinteressandosi totalmente di coloro che stanno costruendo una vita intermittente che non darà loro nessuna garanzia, né sull’età né sugli importi che riceveranno una volta in quiescenza.  Questa è una schizofrenia della politica assolutamente inaccettabile, ma che va di pari passo con la sottovalutazione del tema del debito pubblico, e con il fatto che pensiamo di continuare ad andare avanti di inerzia senza porci il problema degli investimenti e della qualità degli investimenti che facciamo. Dall’altro lato i mezzi di informazione ovviamente scontano, anche qui, il presentismo della vita pubblica e del discorso pubblico. Noi viviamo in un eterno presente in cui non possiamo farci illusioni e credere che qualcuno possa pensare a quello che succederà tra 10, 20, 30 anni.  Sarebbe interessante, per esempio, che questo governo, se veramente volesse imprimere una svolta importante, si preoccupasse della fiscalità sulla previdenza integrativa e facesse una politica attenta all’educazione finanziaria, dando un’agevolazione fiscale a chi vuole farsi una pensione di scorta, altrimenti apriamo il nostro mercato a quelli che saranno gli emittenti dei paesi che avranno fiscalmente condizioni migliori.

Pensa che lo sviluppo del risparmio previdenziale, forma di risparmio finalizzato e di lungo periodo, possa costituire un volano per la crescita economica del nostro Paese?

Io penso che non solo possano, ma debbano. Però c’è da fare uno sforzo di trasparenza, perché le polizze di ramo I hanno una sicurezza sul capitale che quelle di ramo III non hanno. Questa differenza è poco percepita dal sottoscrittore. Io capisco che c’è l’attitudine a difendere prodotti unit linked e prodotti di un certo tipo, ma quando non c’è la sicurezza del capitale forse sarebbe giusto dirlo. Allora c’è un problema secondo me di trasparenza tra gli stessi operatori e le stesse compagnie assicurative ovviamente che hanno tutto l’interesse a non sobbarcarsi dei costi e soprattutto dei rischi superiori. Siamo un Paese che non ha una grande cultura assicurativa del rischio, sia del rischio presente e tantomeno del rischio futuro, e che tende ad accantonare il problema e quindi a non viverlo come un’urgenza o perlomeno a non viverlo come una priorità. Secondo me bisogna fare un’opera di educazione, di pedagogia del risparmio previdenziale, che in parte, lodevolmente, state facendo voi, e poi sciogliere un pò quella tendenza che hanno i risparmiatori a pensare che alla fine si imbarchino in una situazione nella quale rimangono intrappolati, senza una reale valutazione e un controllo dei costi che sopportano. 

Pensa che l’avvento del digitale e tecnologie abilitanti possa favorire l’accesso al sistema di previdenza integrativa da parte dei giovani che entrano nel mondo del lavoro?

Noi siamo alla vigilia di un passaggio fondamentale con l’arrivo della Psd2 (Payment Service Directive 2, che consente ai clienti delle banche di utilizzare servizi di soggetti esterni per gestire le finanze, n.d.r.) e anche l’arrivo di terze parti che entrano nei conti correnti bancari, che offriranno servizi assolutamente competitivi, non soltanto sul versante dei pagamenti ma anche sul versante della sottoscrizione di contratti di vario tipo, e in particolare anche di contratti previdenziali.  Tra l’altro, andando verso orizzonti di sostenibilità, è chiaro che sarà sempre più premiante il contratto digitale. Resta ovviamente un problema di sicurezza, soprattutto per le persone più anziane che naturalmente non hanno grande dimestichezza con strumenti di questo tipo. Così come resta la necessità di avere in ogni caso un rapporto personale con il sottoscrittore, perché è vero che si possono fare delle polizze digitali o con l’internet banking e con la diffusione del fintech non si avrà più un rapporto con una controparte tuttavia,a mio parere, resterà sempre fondamentale avere una sorta di “medico di famiglia” sul mondo previdenziale, che magari non interviene sulle cose più tecniche o che magari io non chiamo mai, ma so che c’è.  So che c’è, so che ha una faccia, un indirizzo, una credibilità. Così come per le monete che si fondano sulla fiducia che c’è con un compratore di ultima istanza, allo stesso modo credo che anche per la previdenza integrativa ci debba essere un consigliere di ultima istanza. Uno che so che c’è, magari che non sentirò spesso, e qui è anche un problema vostro di rendervi disponibili 24 ore su 24, che certamente complicherà la vostra vita, ma forse renderà un servizio anche psicologico, di consulenza “morale”, perché la società nel digitale va accompagnata con molta pazienza.

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