Pensioni dopo Quota 100, proroghe e nuove misure sul tavolo

Se ne parla da mesi ormai e se è certo che Quota 100 verrà eliminata a fine 2021, essendo terminato il triennio di sperimentazione ed essendo stata esclusa ogni possibilità di proroga, meno certe le misure di pensionamento che saranno in vigore dal 1° gennaio 2022 in sua sostituzione. 

Le vie per la pensione anticipata sono molte, ma richiedono comunque requisiti contributivi superiori. Quello che poi si vuole evitare è soprattutto l’ormai noto scalone dai 62 anni + 38 anni di contributi richiesti ora per Quota 100, ai 67 anni + 20 anni di contributi della pensione di vecchiaia.

Un articolo del Sole 24 Ore del 24 aprile scorso illustra quelle che sono le diverse opzioni sul tavolo del governo, con la previsione di prorogare alcune misure a favore di determinate categorie di lavoratori e di introdurre nuovi requisiti per un pensionamento flessibile. 

Rispetto ad alcune di queste opzioni, inoltre, si è espresso il Presidente dell’Inps, Pasquale Tridico in occasione del convegno “Pensioni: 30 anni di riforme”, tenutosi online il 26 aprile appena trascorso e di cui il Sole 24 Ore riporta i passaggi più significativi.

Nuova proroga per Ape sociale e Opzione donna

Prorogate dall’ultima legge di bilancio, l’Ape sociale e Opzione donna potrebbero essere prolungate ulteriormente, divenendo persino strutturale nel caso dell’uscita flessibile per le lavoratrici o comunque maggiormente inclusiva nel caso dell’anticipo pensionistico. 

Se ciò verrà confermato, nel 2022 sarà ancora possibile un pensionamento a 63 anni d’età + 30 anni di contributi (36 anni nel caso di lavori usuranti) a fronte delle quattro, se non più, situazioni di bisogno (disoccupazione, caregivers, disabilità e lavori usuranti). In maniera concorde con un rafforzamento dell’Ape Sociale si è espresso anche Tridico durante il convegno citato. Per le lavoratrici, invece, con opzione donna forse sarà definitivamente prevista la possibilità di pensionamento a 58 (per le dipendenti) o 59 (per le autonome) anni d’età + 35 anni di contributi, fermo il calcolo integrale della pensione con metodo contributivo. Il Presidente dell’INPS ha anche proposto la possibilità di chiedere un anno in meno di contributi per ogni figlio.

Quota 102 e Quota 41: nuove combinazioni per un’uscita flessibile

Quota 102 è una misura abbastanza gettonata e, come riportato nell’articolo del Sole24Ore, lasciata sul tavolo del ministero del lavoro e del MEF. A promuovere particolarmente il pensionamento con 64 anni d’età e 38 anni di contributi è il Presidente di Itinerari previdenziali Alberto Brambilla, come riportato anche in questo in un suo recente articolo “pensione-anticipata-come-superare-quota-100” proposto sul nostro magazine. 
Un’altra misura di cui si discute da tempo è la possibilità di introdurre una via di pensionamento con Quota 41, particolarmente voluta dai sindacati. In questo caso, sarebbe possibile andare in pensione con 41 anni di contributi e a prescindere dall’età anagrafica. La stessa misura, inoltre, viene sostenuta in più versioni, quella estesa a tutti i lavoratori o quella limitata a particolari categorie maggiormente bisognose di un uscita flessibile dal lavoro (disoccupati, invalidi, caregiver, lavori usuranti e lavori gravosi).

Lavori usuranti e lavoratori fragili

Resterebbe ferma innanzitutto la possibilità di pensionamento anticipato nel caso di lavori usuranti, quindi per chi svolga quelle attività considerate particolarmente gravose, con un’età di 61 anni e 7 mesi e 35 anni di contributi. Tridico, inoltre, propone di valutare la possibilità di prevedere un anno in meno di contributi per ogni 10 anni di lavori usuranti. 

Ancora discussa, invece, un’altra misura fortemente voluta dalle parti sociali per i lavoratori cosiddetti fragili, ossia, per coloro che sono affetti da determinate patologie che pur non essendo invalidanti secondo i parametri richiesti per poter accedere ad altre misure (come ad esempio l’Ape sociale) sono comunque bisognosi e meritevoli di tutela. Come riportato dal Sole 24 Ore, lo stesso Presidente dell’Inps suggerisce per loro una via di pensionamento flessibile e anticipata con requisiti relativamente bassi. Questa posizione, infatti, è stata ulteriormente ribadita da Tridico durante il Convegno. Secondo il Presidente, la misura andrebbe sperimentata nell’immediato periodo post – pandemico, dal momento che coinvolgerebbe oltretutto una platea non troppo estesa di lavoratori e quindi sarebbe molto meno impattante per il sistema pensionistico rispetto a Quota 100.

Contratti di espansione

Infine, un’altra ipotesi al vaglio del governo è quella di rafforzare i contratti di espansione, ossia delle vie di pensionamento a livello aziendale che a fronte di un’uscita anticipata di 5 anni dei lavoratori prossimi alla pensione di vecchiaia (attuali 67 anni), prevedono nello stesso tempo l’assunzione di nuovi lavoratori giovani. Questo strumento, finora limitato ad aziende con più di 250 dipendenti si propone quindi di estenderlo anche ad aziende di piccole dimensioni. Dello stesso avviso il Presidente dell’INPS, come dichiarato durante il convegno.

Pensione divisa in due Quote: contributiva e retributiva

Come riportato dal Sole 24 Ore, nel suo intervento al convegno Tridico ha proposto di ragionare sulla possibile divisione della pensione in due quote

  • una calcolata con il meno generoso metodo contributivo, che quindi si può anticipare al compimento di 62-63 anni d’età
  • e una parte calcolata con il metodo retributivo, che si otterrebbe invece solo a 67 anni.

Il punto fondamentale, quindi, è considerare delle forme di flessibilità in uscita collegate al metodo contributivo, così da assicurare la sostenibilità del sistema e  un equilibrio attuariale, alla luce anche degli incrementi dell’età pensionabile legati all’aumento dell’aspettativa di vita: da un lato requisiti meno stringenti a fronte di un ricalcolo della pensione con metodo contributivo, dall’altro tenere conto dell’aspettativa di vita diversa per i lavoratori. Sempre su questo fronte, infine, suggerisce di abbassare il coefficiente di conversione rispetto alla pensione minima con 64 anni d’età dall’attuale 2,8 a 2,5

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