TFR nel fondo pensione? Non teme confronti

Il 2022 si sa, non è stato l’anno migliore per i mercati finanziari a causa del calo dei corsi dei titoli azionari da un lato e il rialzo dei tassi di interesse nominali, con conseguente calo dei corsi dei titoli obbligazionari. 

Come riportato negli ultimi dati sulla previdenza complementare pubblicati dalla COVIP, quindi, i rendimenti sono stati negativi, a fronte di una rivalutazione ordinaria del TFR (lasciato in azienda) eccezionalmente maggiore (+8,3% netto) per il forte rialzo dell’inflazione (+11,6%). 

Versare il TFR nel fondo pensione, allora, conviene ancora? A parlarne l’articolo “TFR o fondi, vincere i derby delle pensioni” dell’inserto l’Economia sul Corriere della sera di lunedì 27 febbraio.

 

Fino al 127% in più nel fondo pensione per il proprio TFR

L’articolo riporta un’interessante analisi di Smileconomy, laboratorio indipendente di ricerca e consulenza finanziaria, assicurativa e previdenziale, dalla quale emerge che la previdenza integrativa continua ad avere la meglio sul TFR lasciato in azienda

Come afferma la stessa COVIP, infatti, per un fondo pensione bisogna innanzitutto valutare le performance su orizzonti temporali più propri del risparmio previdenziale, senza focalizzarsi sulla singola annualità. 

Fondamentale, poi, il fattore fiscale, nettamente più favorevole nel fondo pensione rispetto alla liquidazione ordinaria da parte dell’azienda.

Conti alla mano, quindi, il fondo pensione non teme confronti. Ecco come e perché.

L’analisi ha confrontato, con il cosiddetto “metodo rolling”, la rivalutazione ordinaria del TFR con 120 possibili scenari di andamenti dei fondi pensione negli ultimi 20 anni e rispetto a:

    • tre profili di lavoratore: trentenne, quarantenne e cinquantenne 
    • versamento nel fondo pensione del TFR maturando o anche di quello maturato 
    • diversi scenari di mercato, equilibrato o prudente 
    • linee di investimento a rischio basso, medio o alto.

Considerando il caso del trentenne, con uno stipendio netto di 1.500 euro al mese, versando il TFR nel fondo pensione (sia maturando che quello maturato negli anni precedenti) in un comparto di gestione a rischio alto, nell’ambito di uno scenario di mercato equilibrato, si stima che al pensionamento, all’età di 67 anni, possa ottenere un capitale superiore del +127% rispetto a lasciarlo in azienda. In particolare, una differenza di capitale di ben 86.644 euro.

Elaborazioni Smileconomy per l’Economia del Corriere della sera

 

Il cinquantenne che, con uno stipendio di 2.500 euro al mese, decide di conferire il TFR maturando in un comparto a rischio basso (nell’ambito di uno scenario prudente), si stima possa accumulare oltre il 10% in più, ossia quasi 5.000€ di differenza (52.120€ anziché 47.238€).

Come precisato, inoltre, tutti i valori sono reali al netto dell’inflazione al 2%, nonché al netto della fiscalità. Su quest’ultimo punto, come anticipato, il fondo pensione è decisamente più conveniente.

 

Aliquota del 15% o 9% vs aliquota minima del 23%

Come affermato nell’articolo dal Presidente di Smileconomy, Andrea Carbone, tanti sono gli elementi da considerare: età, comparto di investimento, scenario di andamento dei mercati, costi applicati dal fondo pensione ma anche nelle ipotesi più prudenziali, si stima si possa ottenere comunque come minimo il 3% in più con la previdenza integrativa (che nel caso di specie riportato nella grafica, corrisponde a ben 4.084 euro in più). 

Il fattore fiscale è senz’altro tra quelli più determinanti. In azienda, infatti, la tassazione è pari all’aliquota marginale IRPEF degli ultimi 5 anni di lavoro, quindi come minimo del 23%

 

Nel fondo pensione, invece, è prevista una ritenuta a titolo di imposta con aliquota agevolata del 15%, destinata a scendere al 9% al 35° anno di partecipazione alla previdenza integrativa. A partire dal quindicesimo anno di partecipazione a qualsiasi fondo pensione, infatti, viene applicato uno sconto annuo dello 0,30%, fino a quello complessivo del 6%.

 

Un altro fattore da considerare è senz’altro quello di “permanenza” ed effettivo accumulo di risorse per integrare la pensione.

In tutte queste elaborazioni, si considera infatti un orizzonte temporale che va dall’assunzione fino al pensionamento ipotizzato a 67 anni. Posto che nel fondo pensione ciò è assolutamente possibile, anche se nel frattempo si cambia lavoro, lo è altrettanto per quello lasciato in azienda? 

Se si cambia datore di lavoro no, dal momento che il TFR viene liquidato e tassato, quindi inevitabilmente frammentato negli anni. Difficile immaginare, come un tempo, un TFR accumulato lungo tutta una vita di lavoro presso la stessa azienda e liquidato solo al momento della pensione. 

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