Come rilanciare la previdenza integrativa?

Lo scorso 14 luglio si è tenuto il quarto appuntamente del Ciclo di seminari CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro) – Assogestioni (Associazione del risparmio gestito) per approfondire il rapporto tra risparmio, mercato dei capitali, governo delle imprese e che ha visto come tema centrale del dibattito il rilancio della previdenza integrativa.

Come riportato nel comunicato stampa di Assogestioni  il sistema previdenziale può e deve giocare un ruolo fondamentale a sostegno dello sviluppo economico e della crescita futura del Paese. Tuttavia, affinché ciò avvenga, è necessario che governo e istituzioni promuovano con convinzione il rafforzamento del secondo pilastro, attraverso alcune revisioni mirate, che puntino a un aumento delle adesioni e dotino i fondi pensione di una capacità maggiore di agire sul mercato.”

Come primo elemento principale, quindi, quello degli investimenti dei fondi pensione e della necessità di rafforzare il mercato dei capitali nazionale a beneficio delle imprese e delle infrastrutture, ma anche dei risparmiatori, che potrebbero giovare di una maggiore diversificazione di lungo periodo, specie in questo momento di incertezza.

Molti gli esponenti di rilievo del settore che sono intervenuti durante il seminario, tra cui Simone Bini Smaghi, vice direttore generale di ArcaFondi Sgr, il quale ha sottolineato come al momento i fondi pensione non siano ancora in grado di cogliere le opportunità presenti in Italia. “L’assenza di un mercato sviluppato della previdenza complementare significa anche nel mondo degli investimenti lasciamo delle opportunità agli altri Paesi. La più grossa operazione sul mercato immobiliare oggi in Europa è fatta in Italia. L’ex area EXPO è in riconversione: l’operatore che sta gestendo i lavori è australiano e il fondo pensione che ha dato tutte le risorse è canadese. Non ha davvero senso dire che non ci siano opportunità di rendimento nei mercati dei capitali in Italia quando lasciamo operazioni del genere a chi arriva da altri Paesi.

Fondamentale, poi, incentivare le adesioni innanzitutto con l’intervento decisivo di governo e istituzioni, così da diffondere una cultura della previdenza e restituire una fiducia diffusa nei cittadini verso i fondi pensione. Da questo punto di vista, quindi, appaiono fondamentali azioni ancora più mirate, tra cui una massiccia campagna informativa, per arrivare alle categorie di cittadini maggiormente bisognosi di tutela, come i giovani o lavoratori svantaggiati da un punto di vista contributivo perché ad esempio interessati da carriere frammentate e discontinue.

 

Maggiori incentivi fiscali e flessibilità

 

Arianna Immacolato, direttore fisco e previdenza di Assogestioni suggerisce come, ancor prima del rilancio di un’adesione di massa, con meccanismi semi-automatici, accompagnati da un’adeguata campagna informativa, sia fondamentale riformare il sistema di previdenza integrativa così da renderla ancora più vantaggioso ed attrattivo.

La deducibilità fiscale rappresenta da sempre il maggiore incentivo all’adesione alla previdenza integrativa, ma la soglia massima pari a 5.164,57 euro è ferma da anni e andrebbe in primis rivista al rialzo. Vanno poi eliminate “le distorsioni della tassazione per maturazione dei rendimenti”, ossia la tassazione al 20% sui titoli di capitale  e del 12,5% per rendimenti derivanti da titoli di stato (soprattutto in vista dell’imminente arrivo dei PEPP sul mercato a livello europeo).

Altro intervento auspicato, una aumento delle flessibilità della previdenza integrativa nella fase di erogazione delle prestazioni.

Proprio su quest’ultimo aspetto si è soffermato Angelo Marano, Direttore Generale politiche previdenziali e assicurative del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, che ha sottolineato come il mercato delle rendite vitaliziein Italia è ancora agli inizi e non funziona. I fondi pensione fanno fatica a trovare questi strumenti sul mercato o pagano prezzi eccessivi e presentano quindi coefficienti di trasformazione peggiori rispetto al pubblico. Una situazione che deve essere cambiata per consentire un corretto funzionamento della previdenza complementare”.

La prestazione favorita dal sistema di previdenza integrativa, infatti, è proprio l’erogazione di quanto accumulato sotto forma di rendita vitalizia, maggiormente affine per integrare la pensione pubblica. Il risparmiatore, quindi, a meno che non ottenga una somma troppo esigua, deve convertire almeno il 50% del capitale accumulato in rendita. Appare evidente come il mercato vada urgentemente sviluppato, con prodotti maggiormente competitivi.

 

Da non sottovalutare, però, la portata di una prestazione del fondo pensione già esistente: la RITA (rendita integrativa temporanea anticipata). Oltre a costituire un’evidente forma di flessibilità in uscita, con il mero frazionamento del capitale accumulato per gli anni che mancano al raggiungimento della pensione di vecchiaia (con un anticipo dai 5 ai 10 anni), rappresenta un vero e proprio paracadute sociale in tutti quei casi in cui il regime pensionistico pubblico richiede un‘età troppo avanzata per l’uscita dal lavoro, che al tempo stesso non è in grado di mantenere in attività altrettanto a lungo i lavoratori.

 

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